mercoledì 24 febbraio 2010

la Scuola secondo me...

scuola
Partiamo come premessa, dalla semplice constatazione che elementi naturali, indispensabili all’uomo per vivere, possono provocare gravi danni o addirittura la morte.
L’acqua, ad esempio, disseta l’essere umano ma in dose eccessiva lo affoga. Il fuoco lo scalda ma lo può anche bruciare, il cibo lo nutre, ma lo può soffocare.
L’apparato percettivo sensoriale e cerebrale è capace di miracolose estensioni, alcune delle quali sono a tutt’oggi inesplorate, ma un tale miracoloso apparato si guasta se gli stimoli percettivi sono sempre gli stessi, se le azioni compiute sono eccessivamente ripetitive, come accade nell’ambito lavorativo o scolastico.
Accade quindi che istituzioni nate per soccorrere l’uomo finiscano per danneggiarlo o addirittura sopprimerlo, o che l’infinito piacere di imparare venga sostituito dalla pratica poco amata dello “studiare”.
Imparare è pratica naturale di evoluzione e crescita della personalità e procura emozioni delicate e favorevoli, a volte perfino ineffabili.
“Studiare” ovvero inserire di forza nel proprio apparato percettivo una serie di concetti e nozioni non chiamate dal desiderio, si rivela invece a lungo andare una pratica perversa, capace solo di annullare qualsiasi reale desiderio di conoscere.
Ma l’imparare nasce dalla brezza del desiderio e offre una risposta voluta, accolta con gioia e con la partecipazione attiva di tutta la personalità.
“Studiare” per contro “costringe” una mente spesso riluttante, spesso estraniata, ad applicarsi a nozioni e dati che non suscitano il minimo interesse e che quasi sempre sono lontani dalle reali necessità della persona.

Per questo le scuole di ogni ordine e grado, pubbliche o private, tradizionali e sperimentali, a un attento esame delle loro strutture operative rivelano inquietanti analogie con gli istituti di pena e a volte perfino con i campi di sterminio.
La scritta “il lavoro rende l’uomo libero” di sinistra concezione nazista, posta all’ingresso, dei campi annunciati all’inizio come “campi di rieducazione” e divenuti ben presto campi di sterminio, potrebbe dunque trovare un perfetto analogo nella scritta “lo studio rende l’uomo libero”.
Lo studio, nato per promuovere ed estendere la creatività e divenuto ben presto uno strumento capace di estirpare qualsiasi creatività e di demolire ogni desiderio naturale di apprendere.
Imparare, apprendere, ampliare le proprie conoscenze del mondo si rivela come uno dei massimi piaceri che la natura offre, mentre “studiare” è ormai divenuto un tormento permanente.
Cercherò di esemplificare una distinzione fondamentale tra i due procedimenti.
Imparare corrisponde grosso modo al piacere di nutrirsi, magari scegliendo i cibi a seconda dei propri desideri, che poi assai spesso corrispondono alle necessità dell’organismo.
Studiare invece corrisponde a un “trattamento sanitario obbligatorio” come se qualcuno lo programmasse così: ore 8 pane, ore 9 pasta, ore 10 carne, ore 11 verdure, ore 12 frutta.
E così ogni giorno e, di fronte a tentativi legittimi di disperazione o di ribellione della vittima di turno, “l’ingozzatore” non senza innocente cinismo enunciasse la sua verità “guarda che se non ti nutri muori”.
Un evidente analogia accade nella spietata osservanza “dei programmi”.
Sì, i ragazzi a scuola si annoiano, fingono di ascoltare, sono sempre meno capaci di esprimere una loro visione del mondo, ma “il programma è stato rispettato e ultimato”.
Pian piano si è praticamente estinto ogni naturale desiderio di sapere e smarrito per sempre il piacere di “conoscere”.
Il fatto è che l’essere umano, intorno ai cinque anni di età si presenta come una creatura perfetta: chiede il perché di tutto, tocca tutto, si offre a tutti, esplora incessantemente il mondo che lo circonda, si muove senza sosta, gioca, canta, si difende, si dispera fino a ottenere ciò che vuole e i suoi stessi comportamenti sono un’arte, in quanto coincidono perfettamente con ciò che sente e prova e afferma e nega.
Poi questo capolavoro vivente approda nello spazio scolastico e viene immediatamente sottoposto a secche restrizioni: lo obbligano a star seduto, non può esprimersi o intervenire se non quando “tocca a lui”....
E da quell’istante ha inizio il percorso della sfiducia in se stessi indispensabile per sottomettere un essere umano e fargli credere sia ineluttabile negare a se stesso il tempo del gioco e della vita. Quando la sua sottomissione alla fine dell’esperienza scolastica sarà tale da subire con tremore e ossequio la tortura di esami insensati e vessatori, in cambio riceverà il diploma. Maturo. Maturo a sottomettersi per tutta la vita a un lavoro di otto o dieci ore al giorno, insomma un ergastolo vestito da “necessità sociale”!
Così, di anno in anno, di programma in programma, il genocidio si compie, facendo nascere nei giovani una legittima repulsione per qualsiasi cibo culturale che non sia la superficiale lista di scempi culturali dei giornali sportivi o scandalistici, la pornografia, i film industriali, le soap opera, gli inviti lusinghieri a tentare la fortuna al lotto o al gratta e vinci, la cultura sciatta della tifoseria nel calcio, la bassa qualità del diverbio politico tra i partiti...
La libertà di imparare invece condurrebbe ad una armonica crescita dell’infanzia all’interno di una personalità sempre più sicura di sé, capace di costruirsi un proprio destino, senza alcuna traccia di sottomissione o di dipendenza...

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